Il regno dell’Ade, chiamato dai Greci inizialmente “Casa di Ade”, poi semplicemente Ade (dapprima al genitivo, poi al nominativo) è l’Oltretomba, il luogo dove le anime dei morti dimorano. Talvolta chiamato anche Erebo, dal nome del Dio primordiale dell’oscurità, suo sovrano è ovviamente il Dio Ade, affiancato sei mesi l’anno da sua moglie Persefone.
L’Ade non ha una descrizione uniforme e compatta, sebbene venga comunemente ritenuto un luogo desolante. Questa varia di epoca in epoca, e anche di autore in autore e perfino negli stessi poemi omerici cambia. Nell’Iliade, infatti, è un luogo umido, nascosto nelle viscere della terra, mentre nell’Odissea si trova ai confini del mondo.
In aggiunta, in epoca omerica il Tartaro era considerato un luogo totalmente separato dall’Ade, che invece accoglieva tutte le anime senza far distinzione, radunandole insieme. Soltanto in età classica il Tartaro divenne parte dell’Ade, a cui si contrappongono i Campi Elisi, inserendo qui una distinzione nel destino delle anime.
Accedere all’Ade
Ad accedere all’Ade è la psyché (in greco ψυχή) del defunto, concetto che non ha una corrispondenza vera e propria nel nostro linguaggio, ma che si può tradurre come anima o spirito. Componente invisibile del corpo umano, risiedeva nella testa e abbandonava il corpo con l’ultimo respiro.
La psyché abbandonava il corpo uscendo dalla tomba, e qui veniva raccolta da Ermes in veste di psicopompo, ossia di colui che si occupa di accompagnare le anime dei morti. Ermes guidava l’anima fino a Caronte, consegnandogliela. Se l’anima apparteneva a un corpo non sepolto, Carone la rispediva indietro. Altrimenti, una volta ricevuto il pagamento di un obolo, Caronte traghettava l’anima sull’Acheronte, superava i Cancelli alla cui guardia c’era Cerbero e raggiungeva i Tre Giudici.
I Tre Giudici
Minosse, Eaco e Radamanto erano i Tre Giudici del regno dell’Ade. Tutti e tre erano semidei, figli di Zeus e insigniti del loro ruolo dal padre. Minosse era il primo Giudice ad esprimersi, colui a cui comunque spettava la decisione finale, mentre Eaco era il custode delle chiavi dell’Ade., nonché il responsabile per tutti coloro che non erano greci ma provenivano dall’Europa. Infine, Radamanto era il Giudice più severo, colui che vegliava sul Tartaro ma soggiornava nei Campi Elisi e che, inoltre, era responsabile per coloro che provenivano dall’Asia. La severità di Radamanto era tale che il modo di dire “giudizio di Radamanto” indicava un giudizio terribilmente severo eppure giusto.
Secondo altre versioni, vi è un quarto giudice, Trittolemo, incaricato di sorvegliare e giudicare coloro devoti ai misteri eleuisini e a Demetra, Dea a cui è molto legato. Se nell’Odissea è nominato solo Minosse, nell’Iliade i morti raggiungono personalmente Ade e Persefone.
I Giudici quindi decretavano la sorte delle anime, spartendoli nelle varie zone dell’Ade. Queste erano raggiunte tramite vortici di fiamme, ma che non recavano danno alle anime. Infine, in alcune versioni i Tre Giudici avevano anche redatto le leggi dell’Ade, ma vivere secondo queste non portava reali benefici, né esistevano punizioni se infrante.
Accedere all’Ade (da vivi)
Ritenendo il regno dell’Ade un luogo fisico, questo è teoricamente raggiungibile anche dai vivi. In diversi miti, difatti, abbiamo esempi di eroi che si addentrano nell’Ade. Eracle, Teseo, Orfeo – ma nei poemi anche Odisseo.
Le entrate dell’Ade variano di mito in mito. Fra le tante abbiamo l’ingresso ai confini del mondo, lì dove non arrivano più i raggi del sole; segue l’ingresso sul monte Etna in Sicilia, poi Capo Tenaro nel Peloponneso. Ancora, vi era il Necromanteion, il Tempio di Ade di cui oggi non conosciamo l’ubicazione precisa. Qui vi era un oracolo di Ade, dedito alla necromanzia, e quindi l’ingresso all’Aldilà.
Il Tartaro
Quando il Tartaro era considerato un luogo separato e distinto dal regno dell’Ade, esso era unicamente il posto che ospitava i Ciclopi e gli Ecantonchiri. Essi erano stati rinchiusi da Crono dopo aver sconfitto Urano, tanto suo genitore quanto dei Ciclopi e degli Ecantonchiri. Qui essi dimoravano, finché non furono liberati da Zeus, impegnato a rovesciare suo padre Crono dal trono, combattendo lui e gli altri Titani.
I Ciclopi e gli Ecantonchiri si schierarono quindi con gli Olimpi, e quando i Titani furono sconfitti Zeus li spedì nel Tartaro, mettendo gli Ecantonchiri a guardia dello stesso. Successivamente, Zeus imprigionò anche il mostro Tifone nel Tartaro.
In età classica, poi, il Tartaro divenne il luogo dove imprigionare le anime malvagie. Qui i Tre Giudici mandavano chi si era macchiato di crimini orribili, sottoponendoli a supplizi senza fine, come Tantalo, Issione e Sisifo. Radamanto qui interroga i dannati continuamente, costringendoli a confessare i loro crimini.
Il Tartaro è un luogo orribile. Un pozzo buio e pieno di atrocità, talmente buio da essere più denso della notte e talmente profondo che, secondo Esiodo, un’incudine lanciata nel Tartaro ci avrebbe messo nove giorni e nove notti a raggiungerne il fondo.
I Prati di Asfodelo
La maggior parte delle anime raggiunge i Prati di Asfodelo. Questi sono destinati a quelle anime definibili “neutrali”, che in vita non si sono distinte né in bene né in male. Qui le anime dimorano per l’eternità, senza ricevere punizioni o premi. Sono caratterizzati dalla presenza di asfodeli, fiori grigiastri che i greci coltivavano o ponevano sulle tombe. Gli asfodeli, inoltre, erano considerati il cibo dei morti, benché essi non avessero reale bisogno di nutrirsi.
I Campi Elisi
Ai Campi Elisi, o Elisio, potevano accedere soltanto le anime meritevoli. Queste erano le anime di chi in vita si era distinto per le proprie capacità o per il proprio valore, così come chi aveva condotto una vita giusta e rigorosa. E’ un luogo beato e di pace, non troppo diverso dal concetto cristiano di paradiso. Non solo i guerrieri, come Menelao e Achille, meritano l’accesso ai Campi Elisi: si riteneva che anche Omero e Socrate risiedessero qui.
I membri di culti misterici potevano raggiungere l’Elisio in maniera più semplice. Avendo seguito i precetti per una vita beata in vita, in punto di morte bastava loro evocare il nome di Demetra poiché raggiungessero l’Elisio, senza passare dai Tre Giudici.
I cinque fiumi dell’Ade
Cinque sono i fiumi dell’Ade:
- Il fiume Stige, il fiume dell’odio, ma anche in grado di donare l’immortalità. Era talvolta attraversato da Carone al posto (o insieme) dell’Acheronte. In questo fiume Teti immerse suo figlio Achille, tenendolo per un tallone. Achille divenne sì immortale, ma il tallone rimane l’unico punto vulnerabile. Si riteneva che gli Dei giurassero sullo Stige, poiché anch’essi ne temevano il potere. Tutte le questioni importanti venivano siglate da un giuramento sullo Stige e qualora si riteneva che un Dio mentisse, questi doveva bere una brocca d’acqua dello Stige. Se colpevole, lo Stige lo avrebbe colpito, costringendolo a passare più di un anno in coma;
- il fiume Acheronte, il fiume del dolore. Tramite questo Caronte traghettava le anime dei morti dal regno dei vivi ai cancelli di Ade. Rappresentava, quindi, il passaggio irreversibile dalla vita alla morte;
- il fiume Cocito, il fiume dei pianti, un affluente dell’Acheronte insieme al quale separava i vivi dai morti;
- il fiume Flegetonte, il fiume del fuoco. Chiamato anche Piriflegetonte (pyr in greco significa fuoco) è descritto da Platone come un fiume fatto letteralmente di fuoco.. Infine, il corso di questo fiume arriva nelle profondità del Tartaro;
- il fiume Lete, il fiume dell’oblio. Le sue acque hanno la capacità di far dimenticare ogni cosa, e difatti gli inziati del culto misterico dell’orfismo devono berne soltanto un sorso. Chi vuole ricordare la vita ne deve bere poco, mentre chi sceglie l’oblio totale per raggiungere la saggezza, beve fino a dimenticare ogni cosa.
Infine, gli omicidi giudicati con pene espiabili rimanevano nel Tartaro solo un anno. Da qui risalivano il Cocito, tranne i parricidi e i matricidi che risalivano il Flegetonte. Giungevano quindi alla palude acherusiade, fronteggiando le proprie vittime. Se perdonati, potevano procedere ai Prati d’Asfodelo, altrimenti tornavano nel Tartaro.
Altri luoghi
Come abbiamo visto, la geografia del regno dell’Ade ha subito notevoli cambiamenti nel corso del tempo. Da un luogo tetro dove le anime vivevano per l’eternità senza distinzione, a un luogo dove ogni anima andava incontro alla propria sorte secondo quanto fatto in vita, e ancora altri luoghi sono stati aggiunti in un secondo momento.
All’interno dei Campi Elisi sono collocate le Isole dei Beati, o Isole Fortunate, che in principio sotto Esiodo erano isole dove risiedevano gli eroi a cui era stata risparmiata la morte, come Agamennone, e che qui avrebbero passato l’eternità. Successivamente, le Isole dei Beati vengono considerate parte integrante dei Campi Elisi, a cui però soltanto i più pii e virtuosi potranno accedere. Qui, infatti, potranno dimorare soltanto coloro che per tre volte hanno scelto di reincarnarsi e per tre volte hanno vissuto in modo tale da meritare l’Elisio come destinazione finale.
Le Isole dei Beati sono un luogo meraviglioso, un paradiso in terra dove il cibo non finisce mai e piene di flora lussureggiante e fauna straordinaria. Non solo: le Isole dei Beati erano considerate un luogo semi-mitico, a cui accedere anche fisicamente nel piano dei vivi. Si tratta di Isole – o di una sola Isola, a seconda dei casi – poste ben al di là delle Colonne d’Ercole, nel mezzo dell’Oceano Atlantico. Spesso naturalmente le isole storiche sono prive di elementi mitologici, ma rimangono isole dalla vegetazione e fauna straordinaria e ben diverse dalla Grecia.
Dove sono le Isole dei Beati? Già dai tempi antichi si è provato a identificarle. Spesso vengono identificate con le Isole Canarie, a lungo chiamate anche Isole Fortunate, ma c’è chi afferma che forse bisognerebbe guardare ai Caraibi, a qualche isola raggiunta dai Fenici – e così oltre che con le Canarie, le Isole dei Beati vengono identificate anche con Madeira, Capo Verde, le Bermuda, le Azzorre e le Piccole Antille.
Infine, pur spostandoci a Roma, si possono menzionare alcune modifiche al regno dell’Ade fatte da Virgilio. Egli descrisse difatti una zona dedicata a tutti coloro morti combattendo con gloria, ma anche per chi era morto prima del proprio tempo. Infine, vi aggiunge anche i Campi del Pianto, una zona dedicata ai suicidi e a coloro travolti da passioni mortali. E proprio qui, fra i tanti, Virgilio colloca la Regina Didone, suicidatasi a causa dell’abbandono del suo amato Enea.