Parliamo di Circe e Medea, due delle più affascinanti donne della mitologia greca. Potenti incantatrici, donne determinate, amanti passionali, implacabili proto-streghe dell’era antica. Siete stati voi a sceglierle in un sondaggio sulla nostra pagina facebook, e oggi vi parlerò proprio di ciò che le accomuna così come di ciò che le divide, in questo doppio articolo che spero vi terrà compagnia nelle ultime ore dell’anno – e magari, anche oltre.
Se la magia è onnipresente nei racconti antichi, la stregoneria è un’invenzione del medioevo. Furono le grandi calamità tra il quattordicesimo e il quindicesimo secolo ad accrescere le credenze verso le arti occulte, ritenute responsabili di ogni male: prima di allora, la magia era concepita in un modo diverso.
La nascita dell’immagine della strega è quindi legata più alla peste nera e alla guerra dei cent’anni che alle vicende di Ulisse o Giasone… eppure in quell’immagine, alcuni personaggi di queste storie sembrerebbero incastonarsi alla percezione, tanto che oggi tendiamo a considerarle come tali.
La regina della trasfigurazione
Circe è uno dei personaggi più affascinanti e noti dell’Odissea omerica.
La bellissima maga è figlia, secondo alcune versioni del mito, del sole, Elios, e di Ecate, che oggi potremmo definire la Dea dell’occulto: essa regnava sui morti e sui fantasmi, sulla luna e sulla notte, sulla necromanzia e sulle arti magiche.
Secondo Euripide, invece, Circe è sorella del sovrano della Colchide, Eete. Essendo però Eete figlio del sole, i legami di parentela non variano poi così tanto.
Circe è una maga bellissima, che però fa una serie di scelte di vita assai discutibili. Ad esempio, ha una sequenza di intercorsi amorosi a dir poco disastrosa: trasformò un principe in picchio per il delitto di averla corteggiata, e quando il dio del mare Glauco le preferì la sorellastra Scilla, la trasformò in un mostro marino per il risentimento. Insomma, non era una che ci andava tanto per il sottile.
Trasformare esseri umani in animali pare fosse uno dei suoi hobby preferiti, perchè quando Ulisse arrivò sull’isola di Eea, dimora della maga, Circe convinse i suoi uomini a bere un potente filtro che li trasformò in maiali.
Guidatili all’interno, li fece accomodare su sedie e troni,
Omero, Odissea, X, 233-243
e per loro mescolò con vino di Pramno formaggio,
farina e miele dorato; al cibo unì
terribili farmaci, affinché dimenticassero completamente la terra dei padri.
Dopo averglieli somministrati e quando li ebbero bevuti, a quel punto
colpendoli con una bacchetta li rinchiuse nei porcili.
Ed essi di porci avevano il muso, il verso, le setole
e la sagoma, ma la mente era ancora integra come prima.
Così, mentre piangevano, essi furono rinchiusi; e Circe
gettò in mezzo a loro come cibo ghiande, datteri e frutti di corniolo
che i porci mangiano sempre giacendo a terra.
Circe incanta Ulisse… ma non come aveva previsto di fare!
Per sua fortuna, Ulisse venne aiutato da un suo fan di primordine: il Dio Ermes, che lo rese in grado di resistere alle magie della donna.
Come ti ho già raccontato qui, gli Dei greci si dilettavano nelle arti della trasformazione e quindi nessuno meglio di loro poteva proteggere Ulisse da questo destino infatusto.
Il re di Itaca divenne così immune agli incantesimi di Circe abbastanza a lungo da arrivare a minacciarla con la spada. Per aver salva la vita, la donna scoppiò in un pianto drammatico e gli promise un’esistenza sull’isola all’insegna della passione e del piacere.
Ulisse, che forse era eroico ma di certo non era uno stinco di santo, si fece convincere a passare con lei un anno intero, con buona pace di Penelope che lo aspettava a casa. In quell’anno, dalla loro passione sarebbero nati uno o più infanti, tra cui un maschio chiamato Telegono o Telemago (da non confondere con Telemaco, il figlio legittimo di Ulisse e Penelope. Sarà stato anche un eroe furbo, ma coi nomi evidentemente Ulisse non aveva molta fantasia…).
Come finì la storia tra Ulisse e Circe
Quando l’eroe decise di partire, Circe la prese piuttosto bene -almeno considerati i suoi precedenti- e gli diede anche qualche pratico consiglio salva vita, ad esempio su come superare l’insidioso canto delle sirene.
Circe doveva provare dell’affetto per Ulisse, perchè ne parlò bene al figlio Telegono che una volta cresciuto volle partire per Itaca, desideroso di conoscere suo padre. Tuttavia, la sua nave sbandò durante una tempesta e il giovane finì per confondere Itaca con un’altra isola, che saccheggiò per sfamare i suoi uomini.
Quando Ulisse scese sulla spiaggia per difendere il suo popolo, il figlio non lo riconobbe e lo trafisse con una lunga e bellissima lancia, uccidendolo. Compreso l’errore, Telegono pianse il padre e decise di condurre con se a Eea sia Penelope che il fratellastro Telemaco. Circe rese tutti gli abitanti dell’isola immortali… e andò a finire che sposò Telemaco, mentre il figlio sposò Penelope.
Alla ricerca del vello d’oro
Sai in che opera Euripide ci parla di Circe? Nella sua Medea, tragedia che scrisse nel 431 a.C, cioè ben 2450 anni fa.
Circe sarebbe quindi zia di Medea. Perchè tu possa capire le gesta di quest’ultima, però, ho bisogno di raccontarti prima le vicende di Giasone e degli Argonauti. Mettiti comodo.
Accadde, in quegli anni, che in un regno chiamato Iolco il trono di re Esone venne usurpato dal fratellastro Pelia. Giasone, figlio di Esone, giunse al suo cospetto per reclamare la corona, e Pelia gli promise che glie la avrebbe restituita solo se l’eroe fosse riuscito a trovare e portargli il vello d’oro, un manto magico capace di curare ogni ferita.
Gli Argonauti
Il buon Giasone mise dunque assieme quelli che avrebbero potuto essere gli Avengers greci, reclutando una cinquantina dei nomi più in vista del panorama eroico di quel tempo, e salpando con loro sulla nave Argo alla ricerca di questo famoso vello. Fra glieroi riportati nelle argonautiche, vale la pena di citarne alcuni, giusto per darti un’idea dell’imponenza di quest’impresa:
- Anfiarao, il piromante di cui ti ho già parlato qui
- Argo di Tespi, che costruì la nave Argo
- Atlanta, unica femmina della spedizione
- Augia (proprio quello che non puliva mai le sue scuderie!)
- Castore e Polluce, i gemelli Dioscuri fratelli di Elena di Troia
- Eracle (si, proprio quell’Eracle!)
- Laerte, padre di Ulisse
- Orfeo
- Peleo, padre di Achille
- Telamone, fratello di Peleo e futuro padre di Aiace Telamonio
- Teseo (secondo alcune fonti).
Medea, maestra delle pozioni
Ma dov’era, questo mitico vello d’oro? Leggenda vuole che fosse finito proprio nelle mani di Eete… il padre di Medea. Ovviamente, Eete non aveva nessuna intenzione di cedere un simile, prezioso tesoro tanto facilmente, così aveva messo a guardia del vello d’oro un terribile drago.
Non soddisfatto, Eete impose a Giasone una serie di prove per dimostrarsi degno di tale artefatto: per prendere il vello l’eroe avrebbe dovuto prendere a calci i suoi tori di bronzo, donati da Efesto in persona e capaci di sputare fuoco.
Il tutto avrebbe dovuto svolgersi su un terreno dove l’astuto re aveva seminato denti di drago, dai quali sarebbero fioriti temibili guerrieri. Giasone non avrebbe avuto speranza se non fosse stato per il fatto che Medea, innamoratasi follemente di lui, lo aiutò con le sue pozioni in cambio della promessa di sposarla. Medea , infatti, era sacerdotessa di Ecate e come la zia Circe si dilettava nelle arti magiche.
Opportunista come ogni eroe greco che si rispetti, Giasone acconsentì: Medea gli diede quindi pozioni in grado di resistere ai tori e ai guerrieri, e addormentò il drago permettendo a Giasone di rubare il vello d’oro. Hai capito bene: in pratica, fece tutto lei!
Le macabre efferratezze di Medea
La principessa si imbarcò quindi assieme al suo amato sull’Argo, ma all’ultimo fu seguita dal fratello Apsirto. Ben poco eroico il destino di quest’ultimo, perchè quando la vedetta dell’Argo individuò le navi di Eete intente a inseguirli, Medea non si fece scrupoli a fare a pezzi il fratello e a gettarne le sue parti in mare, una dopo l’altra, così che il padre dovesse rallentare per raccoglierle.
Seminato Eete, Giasone tornò nel regno di Iolco… dove lo zio Pelia, com’era prevedibile, rifiutò di rispettare i patti e restituirgli il trono.
Medea contro Pelia
Di nuovo fu Medea a risolvere la situazione: l’astuta e crudele principessa si recò dalle figlie di Pelia e mostrò loro un rituale. Prese un caprone, lo fece a pezzi e lo bollì in un particolare unguento: così, la bestia riprese vita e giovinezza, trasformandosi in un candido agnellino. In alcune versioni del mito, non fu un caprone che Medea ringiovanì a questo modo, ma il padre malato dello stesso Giasone, che in questo modo salvò dalla morte.
Ad ogni modo, convinte da Medea di poter ridare la giovinezza al loro anziano padre, le figlie di Pelia lo fecero a pezzi, fra atroci sofferenze, senza ottenere di ringiovanirlo nè, tanto meno, di mantenerlo in vita.
Per queste efferratezze Giasone e Medea vennero banditi a Corinto: la tendenza di Medea a fare a pezzi i parenti avrebbe dovuto insospettire Giasone, ma evidentemente non fu così dato che proprio a Corinto i due effettivamente si sposarono.
Per una decade, i due vissero come marito e moglie e forse furono anche felici. Purtroppo, a un certo punto a Giasone venne la pessima idea di accettare l’offerta del re di Corinto, che gli proponeva la figlia in sposa. Giasone, che evidentemente a portare una corona in testa, quale che fosse il regno, ci teneva proprio, tentò in tutti i modi di far accettare la cosa a Medea, la quale invece non la prese troppo bene.
La velenosa gelosia di Medea
Fingendolo un gesto di pace, Medea inviò come dono alla rivale una veste e una corona intrisi di un terribile veleno, che prese fuoco uccidendola brutalmente. Il re, accorso ad aiutare la figlia, morì a sua volta per aver toccato i medesimi oggetti.
Assalita dalle fiamme, si alza dallo scranno e fugge
Euripide, Medea
agitando i capelli e la testa da una parte e dall’altra
nel tentativo di liberarsi della corona. Ma l’oro
restava saldamente attaccato e, come ella scuoteva
la chioma, più intenso il fuoco divampava.
Si accascia a terra, vinta dal dolore,
irriconoscibile a chiunque fuorché a suo padre:
infatti non si vedevano più né la forma degli occhi
né la bellezza del volto, e il sangue le scorre
dalla sommità del capo commisto al fuoco,
le carni si staccavano dalle ossa come resina di pino
a causa dei morsi invisibili dei veleni,
spettacolo tremendo.
L’infanticidio
Ed è qui che la follia di Medea raggiunse i vertici – o toccò il suo punto più basso: la sua furia irrefrenabile portò Medea a uccidere i suoi stessi figli, distorcendo la sua natura di madre pur di soddisfare la sua sete di vendetta e privare Giasone di una discendenza.
Fuggita quindi ad Atene, sul carro inviatole dal nonno Helios, Medea sposerà re Egeo rompendo per qualche tempo le uova nel paniere a un altro eroe, Teseo, prima di tornare infine nella Colchide. Ricongiuntasi col padre Eete, lo aiutò a mantenere il trono, facendosi così perdonare dal vecchio re per quel piccolo incidente del fratellino fatto a pezzi in mare….
Agli occhi degli Dei, il sacrificio dei figli dovette essere una punizione sufficiente per i suoi crimini, poichè a Medea fu dato di vivere in Colchide fino alla fine dei suoi giorni senza mai incappare nella giustizia degli uomini o in quella degli Dei.
Lo stesso non si può dire di Giasone che, avendo disatteso la promessa di fedeltà fatta a Medea, perse i favori degli Dei e visse solo e infelice: alla fine, rimase ucciso nel sonno da un improvviso cedimento della sua preziosa nave Argo, ormai vecchia e fatiscente.
Un diverso “stile” di magia
Circe è forse la maga più celebre dell’antichità greca, grazie al suo indiscutibile fascino e alla potenza dei suoi sortilegi. La sua fama travalica il culto greco arrivando fino all’epoca romana, dove Ovidio la inserisce nelle Metamorfosi menzionando le sue piante e i suoi incantesimi e anche oltre, attraverso le molte opere che la raffigurano, come quelle di guercino, di Stuck o di Waterhouse (artista che forse approfondiremo in futuro…).
Non la dimentica neanche la cultura popolare: Circe appare in un’infinità di film, saghe fantasy, giochi di ogni genere e forma, ed è sempre nota per la sua bellezza e le sue incredibili doti magiche.
Medea conosce a sua volta una certa popolarità, ma per quanto entrambe siano incantatrici potenti e terribili, Circe non ha l’alone violento e persino innaturale di Medea, capace di arrivare ad uccidere persino i suoi figli pur di ottenere vendetta. Se Circe è passionale, Medea risulta malefica.
Circe è maestra della trasformazione e manipola gli eventi grazie a quest’arte e al suo fascino, mentre Medea da prova delle sue arti magiche in atti più diretti, spesso più violenti e intenzionati a porre fine alla morte o a provocarla: se Circe fosse un elemento sarebbe la mutevole acqua, mentre Medea sarebbe una fiamma pronta a divampare in incendio.
Discententi di Helios e di Ecate
Entrambe le donne sono legate a Elios, Dio del Sole, e a Ecate, Dea della Luna (o almeno una delle Dee legate alla luna… ti ho già parlato di un’altra qui, ricordi?) e della stregoneria. Poche sono le donne nella mitologia greca legate all’astro solare: le più note sono Circe, Medea e Pasifae, tutte donne che hanno un tratto particolare in comune: esse cercano di scavalcare la sfera canonicamente femminile e di farsi padrone del proprio destino.
Non si tratta di donne sottomesse agli umori, alle scelte o alla virilità degli uomini: nei limiti di ciò che è loro concesso, sia Circe che Medea compiono le loro scelte e sta agli uomini fare i conti con le conseguenze che questo comporta. Il confronto fra Circe e Penelope è, in questo senso, esemplare.
Medea e Circe non condividono, non aspettano, sono due donne con una propria identità e una propria sessualità: sanno quello che vogliono e se lo prendono sfruttando ogni arte in loro possesso, dal fascino alla manipolazione fino alla magia. E guai a tradirle o a scontentarle: sembra essere molto più saggio assecondarle e sottomettersi, che scatenare la loro furia.
In tutti gli altri eventi, piena è la donna di paure, e vile contro la forza, e quando vede un ferro; ma quando, invece, offesa è nel suo talamo, cuore non c’è del suo più sanguinario.
Euripide, Medea
Chi sovverte i ruoli paga pegno
Una simile sovversione dei ruoli non può, ovviamente, passare impunita e queste due donne della mitologia devono pagare: la mentalità greca era più aperta di altre sul genere femminile ma restava comunque prettamente maschilistica e patriarcale. Più strenuamente le due donne tentano di imporsi quale figura dominante, più alto è il prezzo che devono pagare. Arrivando, nel caso di Medea, alla soppressione del più ancestrale simbolo di femminilità, la sua natura stessa di madre.
Inoltre, sebbene tentino di prevaricare i confini del loro essere donna, entrambe conducono uno stile di vita intrinsecamente legato alle scelte del cuore, più che a quelle della ragione. Ed è proprio quello stile di vita a trascinarle poi verso la rovina. La capacità di Circe di lasciare andare Ulisse è la più grande differenza fra le due donne, ciò che probabilmente strappa la maga di Eea dal truce destino vissuto invece dalla nipote Medea, le cui scelte la porteranno a una vita tragica e infelice.