L’importanza della sepoltura
Seppellire i defunti presso i greci non era semplice usanza: era un vero e proprio dovere. Non dare ai morti il giusto onore tramite i riti funebri, infatti, rappresentava una delle più grandi ingiurie ai danni di un altro. Ma in cosa consistevano questi riti funebri? Perché erano così importanti?
Psyché (in greco ψυχή) è un termine che non ha un corrispondente vero e proprio nel linguaggio moderno. Viene tradotto generalmente come anima, ed effettivamente il concetto di anima è quel che più si avvicina. La psyché non era altro che una componente invisibile del corpo umano, che risiedeva nella sua testa e che abbandonava lo stesso con l’ultimo respiro. Da qui, la psyché del morto raggiungeva l’Ade, dove avrebbe dimorato per sempre.
Tuttavia, era necessario che i vivi si prendessero cura del corpo del defunto, praticando i riti funebri dove venivano invocati Ade e Persefone, e successivamente seppellendolo. Negare la sepoltura voleva dire impedire alla psyché di entrare nell’Ade, condannando lo spirito del defunto a vagare per sempre senza poter trovare pace, trasformandosi in uno spirito inquieto.
I riti funebri
Benché ogni polis avesse naturalmente le proprie consuetudini, i riti funebri avevano una struttura comune. Per prima cosa, il focolare domestico dedicato ad Estia veniva spento dai familiari e saranno poi i vicini a riaccenderlo al termine dei riti. I parenti del defunto digiunavano, mentre veniva preparata la prothesis (πρόθεσις), il periodo di esposizione della salma. Questa durava generalmente una notte, ma in caso di personalità più illustri poteva durare anche diversi giorni. In quest’ultimo caso, il corpo veniva generalmente imbalsamato in maniera provvisoria.
La salma veniva sistemava in un sudario, esposto poi ai visitatori su una struttura in legno, con i piedi rivolti verso la porta dell’abitazione. A preparare il corpo per la veglia erano le donne più anziane o le parenti più prossime, che si preoccupavano di purificare il corpo con acqua e unguenti, per poi vestirlo e disponendo gioielli e fiori. Un obolo era posto nella bocca del defunto, per pagare il passaggio di Caronte, mentre nelle mani veniva sistemata una focaccia da dare a Cerbero. Durante la veglia, poi, era compito delle donne piangere e disperarsi per la perdita del defunto. Queste, tuttavia, non erano soltanto donne della famiglia: vi erano donne che intonavano lamenti funebri proprio per mestiere e che si assoldavano per piangere alle veglie, specialmente delle personalità più in vista.
Terminato il periodo di veglia, la famiglia praticava un sacrificio in onore del defunto. Generalmente si trattava di sacrifici animali, le cui carni venivano poi consumate durante il banchetto funebre. Tuttavia, nell’Iliade Achille sacrifica dodici troiani per Patroclo – ma non sono noti altri esempi di sacrifici umani nelle poleis greche. A seguire potevano esserci dei giochi funebri in onore del morto, specialmente in caso di caduti in guerra, occasioni in cui poteva esserci anche un elogio funebre.
Infine, il corpo poteva essere cremato o tumulato. Nel primo caso il corpo veniva portato sul luogo del rogo scortato da musici, mentre altri animali venivano sacrificati sulla pira, insieme a miele ad olio. La pira veniva incendiata e una volta che si fosse consumata si raccoglievano le ossa, per deporle in un’urna che veniva sigillata in un tumulo. Ma era possibile che il corpo non venisse cremato, ma che venisse calato in una fossa rettangolare insieme alle sue armi e agli oggetti che usava quotidianamente in vita.
Riti funebri e limitazioni
Durante l’epoca omerica, i funerali sono una vera e propria manifestazione di sfarzo. Giochi dedicati, accessori sfarzosi, sacrifici ingenti e una manifestazione del dolore esaltata dai lamenti funebri e dall’usanza di strapparsi i capelli e graffiarsi la testa sono tutti elementi tipici dell’epoca omerica.
Successivamente, però, dal VI i legislatori Greci introducono a poco a poco delle limitazioni, volte a vietare manifestazioni eccessive e un lusso senza freni. Così Licurgo a Sparta decreta norme di comportamento, fra cui una che pone il divieto di seppellire oggetti con il defunto, mentre a Siracusa Gelone vietò il trasporto sul carro funebre della salma.
In particolare, però, le principali limitazioni a noi note sono quelle che Solone introdusse ad Atene. Qui i sacrifici, in particolare di buoi, vennero vietati così come soltanto le donne appartenenti alla famiglia del defunto potevano prendere parte alla veglia e al funerale. Le donne che intonavano lamenti funebri furono quindi vietate, così come manifestare il lutto percuotendosi. Infine, privò i funerali stessi dello sfarzo e del lusso che invece dilagavano fino a quel momento.
I caduti in battaglia
L’importanza della sepoltura ovviamente non veniva meno quando la morte avveniva in battaglia. Era infatti compito degli opliti recuperare e difendere i corpi dei propri compagni di guerra, anche a costo della propria vita. Era inusuale, ad ogni modo, non concdere la sepoltura.
Spesso, infatti, entrambe le parti si attenevano a norme che prevedevano il poter recuperare i corpi dei propri caduti e poterli onorare. Una testimonianza di questa usanza, del resto, ci viene offerta anche nell’Iliade. Dopo la morte di Ettore per mano di Achille e dopo che questi ne ha martoriato il corpo, lo porta con sé nell’accampamento acheo. Qui però Priamo chiede di poter riavere il corpo del figlio e di avere il tempo di potergli dare i giusti onori. Nonostante la furia provata per Ettore, Achille accetta. Restituisce il corpo al padre e concede undici giorni di tregua per poter eseguire i suoi funerali.
Peculiarità spartane
Erodoto nelle Storie ci racconta invece di una usanza diversa presso Sparta, in occasione della morte di un Re. In questi casi è obbligo per tutti presenziare al funerale del sovrano, lamentandone la morte percuotendosi la fronte con forza. Tuttavia, Erodoto aggiunge che se un Re trova la morte in guerra, al funerale si espone anche una sua immagine, un eidolon (εἴδωλον) che lo raffigura.
Su quest’ultima usanza le interpretazioni moderne si discostano. C’è chi afferma che l’eidolon veniva impiegato soltanto nei casi in cui il corpo non fosse tornato in patria, come nel caso di Leonida i cui resti sono tornati a Sparta dalle Termopili soltanto quarant’anni dopo la sua morte, facendo quindi le veci del corpo e potendo permettere la normale sepoltura. Altre interpretazioni, invece, vedono nell’eidolon la rappresentazione stessa dello Stato, un concetto che in una società gerarchica come quello spartano è fortemente sentito e che la morte di un Re, suo rappresentate, ferisce. L’eidolon diventa quindi una rappresentazione più della continuità dell’ordine politico più che del defunto stesso, presente ai funerali di qualsiasi Re morto in battaglia.
Del resto, per quel che è giunto a noi soltanto un altro Re oltre Leonida non è stato riportato a Sparta dopo la sua morte. Proprio Sparta dopotutto sentiva fortemente il dovere di riportare in patria i corpi dei suoi caduti. Celebre è la frase riportata da Plutarco nei Moralia:
Ἄλλη προσαναδιδοῦσα τῷ παιδὶ τὴν ἀσπίδα καὶ παρακελευομένη, “τέκνον,” ἔφη, “ἢ τὰν ἢ ἐπὶ τᾶ”
(Plutarco – Moralia)
Un’altra donna, consegnando al figlio lo scudo ed esortandolo, disse. “Figlio, o con questo o sopra di questo”.
I riti funebri nella letteratura
Antigone
L’Antigone di Sofocle è forse la tragedia che più di ogni altra incarna l’importanza dei riti funebri. L’opera prende le mosse dalla morte di Eteocle e Polinice, i due gemelli figli di Edipo e Giocasta che si contendevano il potere sulla città di Tebe. I due avevano difatti istituito una diarchia dove avrebbero comandando un anno ciascuno. Eteocle fu il primo ad esercitare il potere, ma quando venne il momento di cedere il potere al gemello, si rifiutò e lo fece rinchiudere. Polinice riuscì a raggiungere Argo, da dove poi con alleati marciò su Tebe, per reclamare il suo potere.
La triste sorte dei due gemelli è quella di uccidersi a vicenda sul campo di battaglia, ma il destino successivo è molto differente. Creonte, Re di Tebe, fratello di Giocasta e quindi zio di Polinice ed Eteocle, fa recuperare il corpo di quest’ultimo donando a lui soltanto dei riti funebri veri e propri, escludendo le altre due figlie di Edipo e Giocasta, Antigone e Ismene. Per quanto riguarda Polinice, invece, decreta che essendo morto assediando Tebe non avrebbe ricevuto i riti funebri e con un decreto vietò di spostare il suo corpo dal campo di battaglia. La tragedia quindi si apre con il decreto di Creonte, che condanna l’anima di Polinice.
Ma Antigone non riesce ad abbandonare il corpo di suo fratello alla mercé della natura, non riesce ad accettare che egli non debba avere sepoltura condannandolo così a sofferenza eterna. Si arma di coraggio e, pur sola, recupera il corpo di Polinice dal campo di battaglia. I riti funebri del resto sono una legge dettata dagli Dei e non può sottrarsi, nemmeno quando è una legge umana – quella di Creonte – ad imporglielo. Esegue dei piccoli riti, ripulendo il corpo del fratello dalla polvere e seppellendolo, ma Antigone pagherà un prezzo carissimo.
Saputo della disobbedienza della nipote, Creonte difatti la condanna a morte, ma uccidere un proprio consanguineo viola di nuovo le leggi divine. La fa rinchiudere quindi in una grotta, abbandonata a se stessa, e il corpo del povero Polinice non trova ancora pace. Alla fine dell’opera è l’indovino Tiresia a ricordare l’importanza dei riti. Egli avverte Creonte che gli Erinni sono pronte a cercarlo per la sua empietà e che Tebe è vessata e impura poiché egli ha vietato di seppellire Polinice, atto gravissimo agli occhi divini.
Alla fine Creonte ritira il suo decreto e fa terminare la sepoltura di Polinice e liberare Antigone: è però troppo tardi, la ragazza si è già suicidata. Appresa la notizia, il figlio di Creonte Emone, promesso sposso di Antigone, si suicida a sua volta. Ma Creonte è destinato a rimanere solo, poiché anche sua moglie Euridice si toglie una vita una volta appresa la fine del figlio.
Orestea
Completamente diversa è la rappresentazione dei riti funebri eseguiti da Clitemnetra nell’Orestea. Essa è una raccolta di tre tragedie (Agamennone, Le Coefore e le Eumenidi) e di un dramma satiresco (Proteo), ad opera di Eschilo. La trilogia racconta dell’omicidio di Agamennone per mano di sua moglie Clitemnestra, e della vendetta del figlio dei due, Oreste, che uccide la madre e poi la sua persecuzione per mano delle Erinni.
I riti funebri appaiono in particolare nell’Agamennone e nelle Coefore, lì dove una volta che Clitemnestra e il suo amante Egisto hanno ucciso Agamennone, il coro si interroga sulle sorti di quest’ultimo. Clitemnestra afferma che Agamennone avrebbe avuto sepoltura, ma che a farsene carico sarebbero stati i suoi assassini e non i suoi figli.
Nelle Coefore apprendiamo che è stata Clitemnestra in persona ad occuparsi dei riti funebri nella loro interezza ma che, seppur Agamennone abbia ricevuto sepoltura, questi siano stati l’ultimo oltraggio al marito. Difatti la donna non ha preparato e purificato il corpo del marito, piuttosto mutilandoso, svolgendo poi tutta la prothesis e la veglia sullo stesso tavolo su cui lo ha ucciso.
Iliade
Gli ultimi due canti dell’Iliade ci offrono una visione diversa dello stesso momento. Nel Canto XXIII si tengono i riti funebri per Patroclo, mentre nel Canto XXIV Priamo riesce a riportare a casa il corpo di Ettore e a tenere i suoi funerali.
I riti funebri di Patroclo
Dei riti funebri per Patroclo se ne occupa Achille personalmente, che si taglia anche i capelli in onore del defunto. Successivamente accende la pira funebre, ma qui a patroclo non sacrifica solo animali ma anche dodici troiani. Una volta che la pira si è spenta, Achille dispone di raccogliere le ossa di Patroclo per poterle conservare in un’urna che accoglierà, come richiesto dallo spirito di Patroclo, anche le sue quando verrà il momento.
Ed infine, per celebrare Patroclo si organizzano vere e proprie gare sportive. Dapprima la corsa con i carri, vinta da Diomende, quindi segue la gara di pugilato dove Epeo prevale su Eurialo. Odisseo e Aiace Telamonio pareggiano nella lotta, ma Odisseo vince la corsa, battendo Anticolo e Aiace di Oileo (che per colpa di Atena, che aiuta Odissoe, inciampa e finisce direttamente con la faccia nel letame). Ancora le ultime gare sono il duello armato, con una parità fra Diomede e Aiace Telamonio, la vittoria di Polipete sul lancio del masso e Merione, invece, vince la gara di tiro con l’arco.
I riti funebri di Ettore
Ben diversi sono i riti funebri di Ettore, che sono anche conclusione del poema. Questi si aprono con il lamento funebre di sua moglie Andromaca, sua madre Ecuba ed Elena, che a turno lamentano tanto la fine di Ettore quanto le loro sventure.
Successivamente Priamo fa erigere una enorme pira di legno, su cui adagia il corpo di Ettore, ma nel suo caso non si effettua nessun sacrificio. Il principe troiano viene cremato, ed infine le sue ceneri sistemate in un’urna d’oro che poi viene seppellita. Niente giochi in suo onore, bensì un grande banchetto aperto a tutto la popolazione.