In questo articolo ti parlerò dell’opera di Andrea Appiani che raffigura il mito greco di Filemone e Bauci.
L’artista
Andrea Appiani (1754-1817) è stato un pittore italiano protagonista della scena artistica milanese a cavallo fra 1700 e 1800.
Appiani era esponente del Neoclassicismo italiano, un movimento che in quegli anni cercava di rispondere alle frivolezze e ai decori del Barocco e del Rococò. L’ispirazione era verso le forme e gli stili dell’arte classica, soprattutto quella greca e romana.
Appiani ebbe una notevole carriera, diventando anche pittore di corte di Napoleone I, che ne fece il suo artista di rappresentanza per l’Impero in Italia.
Nel 1807, Appiani divenne anche Direttore dell’accademia di Brera: fu fra coloro che contribuirono a costituire l’oggi nota collezione d’arte della Pinacoteca.
Tuttavia, i turbolenti eventi del 1814 e la fine dell’impero Napoleonico lo lasciarono privo della pensione donatagli da Napoleone e gli fecero passare gli ultimi anni di vita in totale povertà.
Fra i vari soggetti religiosi e le commissioni imperiali, Appiani ebbe modo di dedicarsi anche a soggetti mitologici, cari al movimento neoclassico. La sua rappresentazione di FIlemone e Bauci rientra in questa categoria.
Il mito di Filemone e Bauci
In questa tela, Appiani ci racconta il mito di Filemone e Bauci. La leggenda greca è tramandata da Ovidio nell’ottavo libro delle Metamorfosi.
Narra la storia di Zeus e Ermes mentre attraversavano la Frigia in sembianza umane: durante il viaggio, una discussione animò la loro conversazione.
Zeus era convinto che tutti gli uomini fossero cattivi e avessero ormai perduto le buone virtù, fra cui quella dell’ospitalità. Contrario Ermes, che decise di sottoporre al padre una sfida.
Travestiti da viaggiatori i due fecero visita alle abitazioni di un villaggio. Bussando a mille porte, mille volte videro negata dagli uomini qualsiasi forma di ospitalità.
Arrivarono infine a una capanna sulla cima di una collina: era una capanna povera, fatta di giunchi e fango, ma i due vecchietti che l’abitavano non si trattennero dall’offrire ospitalità ai viandanti, invitandoli a mangiare al loro tavolo.
I due vecchietti si chiamavano Filemone e Bauci: lavarono i piedi ai visitatori e offrirono loro un pasto campestre fatto di olive, formaggio e pane.
Dopo il pranzo, i due viandanti rivelarono la loro vera identità.
Zeus scatenò la propria ira sugli abitanti della Frigia sommergendo il villaggio. Solo la casa di Filemone e Bauci restò al sicuro e venne anzi trasformata in un tempio maestoso.
Compiuta la trasformazione, Zeus si volse verso i due vecchi mortali e si propose di esaudire qualsiasi loro desiderio.
I due, semplici e innamorati, chiedero solo di poter divenire sacerdoti del tempio e di poter morire insieme, una volta giunto il loro tempo, cosi da non dover soffrire l’uno la perdita dell’altra.
E Zeus, condiscendente, esaudì questo desidero.
Quando, dopo altri lunghi anni, i due anziani si fecero vicini alla fine dei loro giorni, il Padre degli Dei li tramutò in alberi: una quercia e un tiglio, uniti per il tronco.
La meravigliosa pianta si ergeva di fronte al tempio e con esso fu venerata per i secoli a venire.
Filemone e Bauci dipinti da Appiani
E’ proprio nel momento del pasto che Appiani ritrae i quattro personaggi della storia, in pose statuarie e classiche che sicuramente richiamano bene agli artisti rinascimentali che l’artista aveva potuto ben osservare durante i suoi viaggi, primo fra tutti Raffaello.
L’amore e l’attenzione per il mondo classico si possono notare anche nel paesaggio architettonico alle spalle dei protagonisti, e nell’uso della prospettiva per delineare spazi e ambienti.
Zeus, più statuario e altero, occupa il lato sinistro dell’opera osservando la scena algido e distaccato, osservando con aria riflessiva la mano di Bauci che si protende verso di lui.
Il figlio Hermes partecipa invece con più entusiasmo al banchetto, e si esprime con una posa più rilassata e naturale riservando un sereno sorriso a Filemone e al cesto di frutta che è in procinto di servire al tavolo.
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